Siamo
in Australia esattamente da due mesi. Solo adesso ci rendiamo conto di quanto
siano ininfluenti due mesi paragonati a tutto il desiderio di cambiare che ci
siamo portati attaccato addosso e imballato nelle nostre valige.
Nessuno
ci ha mai detto che sarebbe stato facile. Infatti non è facile scrollarsi di
dosso castelli di aspettative che per entusiasmo o positività abbiamo costruito
nel tempo.
Ma
per essere del tutto obiettivi, di questa Australia lontana, sognata,
immaginata, idealizzata, bisogna raccontare tutto.
Come
ho sempre creduto, ogni paese è fatto solo in parte della bellezza che le è
propria. La vera spina dorsale di un paese è il popolo che lo abita. Dunque
sono le persone a fare la differenza, il loro modo di vivere, di compiere
scelte, di impegnarsi per costruire le proprie vite e fare comunità.
Ogni
popolo porta con sé una cultura condivisa, che nel caso dell’Australia ha
connotazioni proprie, derivando da una mescolanza di popoli diversi, ognuno con
la propria storia di emigrazione, la propria cultura di provenienza e il
proprio modo di adattarsi in questa terra nuova.
Quindi
non è facile orientarsi in questa Babele, in cui ognuno sembra avere un sogno
legato a doppio nodo al suo polso per non dimenticare le ragioni per cui è qui.
È come
se qui ci si sentisse più legittimati a credere nei sogni impossibili, nel “ricominciare
da capo”. Sarà la magia di certi luoghi, la lontananza dal resto del mondo
abitato, l’incontaminato spazio che spinge a credere che ci sia ancora spazio
dentro le persone, nella loro parte buona.
Non è
il paese dei Balocchi, non è il festoso luna park sempre aperto giorno e notte.
Quello che io sento con nitidezza dopo due mesi è che qui è il “lontano” di cui
molti di noi sentono il bisogno. Il lontano dall’Italia dei politici confusi,
il lontano dai dati statistici sulla disoccupazione, il lontano da quello che
ormai conosciamo già benissimo e che sappiamo fermo.
Lasciare
l’italianità marcia a casa e portare qui solo le buone prospettive è già un
primo passo verso il progetto di ambientarsi in un posto così diverso. E poi c’è
tutto il resto, che non è poco.
Sapere
che qualcosa è talmente difficile da richiedere una solidità di intenti che non
abbiamo mai dovuto sfoderare, rimboccarsi le maniche abbandonando abitudini e
false convinzioni, adattarsi, adattarsi, adattarsi. Perché i giorni passano
veloci e le cose cambiano senza accorgersene e a noi, relegati in un visto studiato
ad hoc per stringerci in un nuovo tempo determinato simile a quello da cui
siamo scappati venendo qui dall’Italia (qui è il tempo di validità inderogabile
della visa!), potrebbero non bastare i mesi concessi per fare sì che i nostri
sogni diventino realtà.
Non
mi piace leggere di ragazzi che anche qui lavorano come matti per sopravvivere
a malapena, rincorrendo un via d’uscita che non faranno in tempo a vedere.
Io,
da parte mia, mi sto dando il tempo delle farm per riflettere su quello che
sono disposta a fare per non portare di nuovo la mia serenità ad un
compromesso.
L’Australia
è il lontano di cui anche io avevo bisogno.
Spero
che tutti coloro che come me e il mio ragazzo sono arrivati fin qui caricandosi
di aspettative non si abbandonino mai al compromesso. Perché il compromesso non
fa bene ai sogni.
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