martedì 25 giugno 2013

Il mio cervello fa festa....ma non troppo!

Cosa succede quando sei in Australia da un mese, pensi di aver trovato la tua dimensione linguistica ideale, ti senti pronto ad incrementare la tua comunicatività e ti inorgoglisci per avere il controllo della situazione quando meno te lo aspetti?

Succede che investi le tue energie sviluppando una parte del cervello che, ne sei certo, ha dormito negli ultimi trent’anni e di cui solo adesso realizzi l’esistenza.
Perché, diciamocelo, l’apprendimento di una lingua va ben oltre i più avanzatissimi corsi a disposizione sul mercato. Abbiamo imparato a dire “mamma”, “papà”, “pappa” e “cacca” prima ancora di imparare a pronunciare il nostro nome e solo perché quelle erano le parole necessarie alla nostra iniziale e limitatissima sfera d’azione. Automaticamente abbiamo preso a ripetere quelle 4 parole a pappagallo e poi 5, e dopo 8 fino a quando i nostri genitori si sono commossi per quanto fossero precoci i loro figli che a  3 anni erano in grado di esprimere concetti complessi. Complessi per chi? Per un bambino di tre anni bombardato di stimoli linguistici in continuazione.
Ma vi siete mai chiesti se guardando un cartone animato, da piccolissimi o anche da grandicelli, alle elementari supponiamo, riuscivate a capire tutte le parole?
Io me lo sono chiesto e la risposta ovviamente è no. Forse per questo si possono spiegare registri linguistici così ridicoli (vedi pupù per cacca, ciccia per carne, bua per dolore e chi più ne ha più ne metta!) da far imbarazzare il bambino più emancipato. Ma sono stati inventati per mettersi al livello dei cuccioli di uomini non ancora in grado di comprendere una frase complessa e grammaticalmente troppo articolata.
Forse sto divagando, ma ragiono da italiana in un paese straniero. La parte del mio cervello deputata all’apprendimento del linguaggio ha ripreso a funzionare di recente, almeno così credo, ed è come se al momento io fossi una bambina di un anno o forse due, che cerca di decifrare un linguaggio attribuendo a quei suoni un senso compiuto.
Non è il massimo a 30 anni tornare a questo livello primordiale di dipendenza e totale assenza di autonomia linguistica. Quello di cui godo forse è lo spiccato spirito di sopravvivenza e l’indiscutibile capacità di adattamento che probabilmente a 3 anni non avevo. Ma a pensarci bene ce l’avevo anche a 3 anni. I bambini sono i più grandi sperimentatori!
Comunque sia, ecco cosa succede quando sei in terra straniera, sola e devi necessariamente comunicare, anche con i soggetti dall’accento più simile ad emigrati russi che stanno imparando il cinese ma che come seconda lingua usano il norvegese!

Nessuno ci aveva preparato a questa varietà scoraggiante di accenti, modi di dire, sinonimi fantasiosi e parole mozzate. Qualcuno dei vostri professori di inglese è mai andato oltre la differenza che esiste tra l’English British e l’American English? Bè, presumibilmente non ce n’è mai stato tempo. Ma cavoli, io sono nella terra dell’assortimento linguistico più scatenato!

Questo per dire che solo 5 giorni fa, mentre facevo la spesa al supermercato e subito dopo aver avuto una mini conversazione con un commesso 12enne timido (e la timidezza ti fa mangiare le parole più del normale e in tutte le lingue!!!!) e con molti tick in merito alla possibilità che vendessero un burro cacao (che qui chiamano con una varietà di termini, ma chapstick è il mio preferito!), e non avendo ottenuto un grande risultato dato il biascicamento estremo del suddetto commesso che non sapeva nemmeno dove fossero (si è limitato ad indicarmi il corridoio dei prodotti sanitari!), ho deciso che sarebbe stato più utile chiedere ad una signora che come me cercava qualcosa nello stesso scaffale.
Bene, che dire, la signora mi ha aiutata a trovare il burro cacao, mi ha persino consigliato di comprare questa Paw Paw Cream (provvedendo a fare anche lo spelling) e che l’avrei trovata dal Chemist. Si è spinta persino a raccontarmi della sua bambina più piccola che dopo due giorni di PawPaw Cream era tornata ad avere le labbra perfette. Insomma, non ci sono stati intoppi, imprevisti e misunderstanding di nessun genere.
Quando accadono questi episodi imprevisti e incoraggianti, devo ammetterlo, mi meraviglio anche un po’ di capire ogni parola, persino qualche sfumatura nel discorso e di decifrare le intenzioni del mio interlocutore. Sono botte di autostima e puoi quasi sentire il tuo cervello pulsare sotto la calotta cranica, soddisfatto del suo buon lavoro.
Ma non va sempre così. Per questo adesso mi ritrovo uno escavatore in giardino e mi sto ancora chiedendo se sia giusto che sia lì in questo momento. 
Ero seduta tranquillamente sul divano godendomi il tepore proveniente dalla grande vetrata che dà sull’esterno, quando da quella stessa vetrata mi giunge l’immagine di un furgoncino in avvicinamento proprio davanti al mio giardino. Confesso che il primo pensiero inconscio è stato “speriamo sia per il vicino”. Inutile dire che l’operaio era dietro la mia porta dopo 20 secondi e….sono passata con un salto repentino dall’emisferoitalian a quello australian.
La prima frase mi ha colpito come un pugno dolorosissimo in faccia. È abbastanza credibile che nemmeno lui abbia capito cosa ha detto. Gli ho chiesto di parlare piano, spiegandogli che non riesco a capire tutto che sono italiana e blabla, la frase da prontuario dell’emigrato in difficoltà, e lui ha ripetuto, non nascondendo un’espressione impaurita. Così ho capito tubi, casa e machine.

Si trattava di un operaio addetto all’installazione di tubi idraulici venuto per parcheggiare il suo escavatore in giardino in vista dei lavori che partiranno domani mattina. Gli ho chiesto il nome e solo a senso ho capito che si chiama Steve, pronunciato Stef, e che il suo cognome è Martin (ma quello non lo avevo capito, l’ho letto sul retro del furgoncino!). Si si, proprio Steve Martin, come l’attore americano. Solo che questo Steve è prepotentemente australiano e monta tubi. Non mi ha fatto ridere come avrebbe fatto lo Steve Martin famoso e una bella risata se l’è fatta lui quando ho toccato il picco dell’incomunicabilità.  Una bella risata di petto, di quelle che portano a piegarsi all’indietro e ad esibire il ventre prominente.
Ha parcheggiato il suo escavatore in giardino, mi ha salutato farfugliando qualcosa e se n'é andato via lasciandomi qui a guardare questa pala meccanica sotto la finestra della cucina e a chiedermi se sia giusto pagare per un corso di inglese se posso avere tutti gli Steve Martin d’Australia a ricordarmi che solo lo spirito di sopravvivenza mi spinge a migliorare i miei communication skills.

2 commenti:

  1. No, Chiara, non pagare per un corso. Neanche noi inglesi riusciamo a capire gli australiani! Era anche per questo che abbiamo mandato lì i loro antenati.

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  2. Una italiana in Australia26 giugno 2013 alle ore 00:54

    ahaha, certo Paul! Inutile pagare per un corso qui, ho tutte le varietà a disposizione!

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