domenica 25 agosto 2013

La valigia troppo piccola

Nonostante i buoni propositi, c’è sempre stato qualcosa a tenermi lontana da questo blog. Che sia stata la vita che ho vissuto nelle ultime settimane, il tentativo di non lasciarmi scappare nulla o la velocità, non saprei dirlo. Ma sono successe tante cose. Ed è strano come le cose cambino in modo così rapido quando si è alla ricerca di un po’ di stabilità.

Negli ultimi tre anni in Italia abbiamo cercato in tutti i modi di costruirci qualcosa che assomigliasse ad una casa, un posto dove tornare e di cui si potesse avere la certezza. Non è stato facile e non è stato facile nemmeno accettare l’evidenza, non c’era un modo per sentirsi sicuri e positivi.

E adesso invece, a così tanti kilometri di distanza ci ritroviamo a vivere in una casa che è molto al di sopra delle nostre aspettative, affacciata su un panorama alla cui bellezza, sono sicura, non ci abitueremo mai.

Più volte ho ribadito che l’Australia non è l’Eldorado e continuerò a ripeterlo finché avrò modo di sperimentarla da dentro. Più passano i giorni più realizzo che non c’è un posto che possa dirsi perfetto e se l’immagine della perfezione, che così di frequente le viene attribuita, continua a resistere lo si deve soprattutto alla forza del paragone. Fra l’Italia e l’Australia non ci sono paragoni che siano degni di esistere. E poi perché dovrebbero. Qui siamo dall’altro lato del mondo e anche se è vero che qualche volta “tutto il mondo è paese” è anche vero che ogni paese ha la sua storia.

Sembra ancora un paese pulito in cui le cose vengono gestite nella trasparenza della loro naturalezza e dove il lavoro tiene lontano la maggior parte delle persone dal cercare vie alternative.
Siamo dovuti venire fin qui per sentirci un minimo tranquilli, lavorando e guadagnandoci quello che abbiamo. Ma l’Italia è lontana, lontanissima e manca, perché l’Italia è casa, la famiglia, gli amici e la spontaneità.
Forse due giorni fa non avrei scritto quello che sto scrivendo ma quando la vita corre così veloce attorno si fa presto a tirare le somme e a capire che emigrare è un bisogno, una necessità, quasi sempre una costrizione che si accetta di buon grado, ma quasi mai una scelta comoda.
Stiamo sperimentando un mondo nuovo, ci stiamo confrontando con stili di vita di cui non sapevamo nulla e ci stiamo ambientando nel migliore dei modi. Stiamo bene ma siamo qui a sperare che in Italia stiano tutti bene, che le cose vadano meglio per chi ci siamo lasciati alle spalle e a credere che le cose torneranno ad essere rosee. Perché alla fine dei conti non riesci a lasciarti proprio nulla alle spalle, se non un numero incalcolabile di kilometri.

Parlando con un’amica che come me ha lasciato l’Italia per venire quaggiù sperando di trovare un po’ di serenità, osservavamo che ci vuole coraggio per avventurarsi così, ma ci vuole molto più coraggio a soffrirne perché la sofferenza sbiadisce i propositi e ridimensiona l’impresa. Ma non si può fare a meno di pensare a chi è rimasto in Italia quando invece vorresti avere tutti attorno, gli amici, la famiglia, i nipoti. Perché la vita corre corre e intanto ti perdi un sacco di cose che invece avresti voluto vivere.
Le chiamiamo scelte e le scelte comportano quasi sempre rinunce che il più delle volte non si è in grado di gestire perché necessitano solo di essere accettate per quello che sono. L’Italia è un paese che fa piangere, di disperazione e di gioia perché è dove ci è capitato di avere radici e da dove siamo partiti per sentirci più forti.

Non c’è modo di mettere in pari le cose. Vivere quaggiù è splendido ma il cuore non ha trovato posto in valigia. 

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